raffaele solaini
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La richiesta di Guglielmo Epifani affinché la sinistra radicale faccia “un passo indietro” e il rifiuto di Fabio Mussi di partecipare alla manifestazione del 20 ottobre contro la riforma delle pensioni e l’accordo sul welfare, mostrano come il conflitto fra le diverse anime della coalizione di governo non riguardi solo il merito delle scelte legislative adottate, ma anche il ruolo e la funzione della politica. Sotto questo profilo le distanze sembrano incolmabili, viste le reazioni di totale chiusura dei leader di Rifondazione, che hanno rigettato le parole di Epifani, ritenendole “incomprensibili”. Puro non senso, non una diversa, magari sbagliata ma comprensibile, posizione.

La manifestazione sarà per Rifondazione un momento decisivo e qualificante della propria azione politica. Compimento, secondo Fausto Bertinotti, della normale “dialettica democratica, sindacale e politica”; dimostrazione della disponibilità e della capacità del partito di “interpretare le sofferenze” della gente, come dichiarato dal segretario, Francesco Giordano. Parole, queste, dietro le quali si intuisce l’idea che comprendere significhi condividere empaticamente le istanze sociali, confermandone necessariamente la legittimità. La rappresentanza è rispecchiamento e identificazione. La piazza diventa il luogo nel quale celebrare il rito della solidarietà fra i cittadini e la classe dirigente.

L’assenza annunciata della maggioranza del centrosinistra dalla manifestazione promossa da Rifondazione, il passo indietro auspicato da Epifani, sarà quindi significativa anche come espressione della volontà di leggere la società da una diversa e maggiore distanza; della ricerca di una dialettica democratica, che non riduca il ruolo della politica a quello di una catena di trasmissione delle sollecitazioni provenienti dal basso. Elaborazione di una prospettiva autonoma, dalla quale proporre risposte programmatiche magari impopolari, senza fuggire né rimuovere la dimensione conflittuale che distingue l’ambito del potere dal resto della società.

Mentre si leva una comprensibile denuncia per la sorda autoreferenzialità del mondo politico, può diventare difficile sostenere le ragioni di una presa di distanza da quelle stesse piazze nelle quali la sinistra ha costruito buona parte della propria forza e dove viene ora assimilata al malcostume diffuso. E tuttavia, per una sinistra di governo, questa scelta potrebbe anche significare una responsabile accettazione del proprio ruolo di guida. Per citare una delle battute più felici di Bebbe Grillo, il razzismo sarà finito quando sarà possibile chiamare “negro” un negro. La riforma della politica sarà forse giunta a compimento quando essa potrà occupare i luoghi del comando che le sono propri, senza confondersi in rassicuranti bagni di folla, e nessuno potrà per questo accusarla di farsi gli affari propri.

LA SINISTRA CHE NON VA IN PIAZZA
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(Affaritaliani.it, 13-09-2007)