raffaele solaini
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Per fortuna, la liberazione di Alberto Stasi, ha stravolto le aspettative indotte dalla discussione mediatica, dimostrando che la normale dialettica processuale segue una sua logica autonoma. Costituisce un mondo a parte, nel quale non esistono i colpi di scena, ma solo una continua e attenta riconsiderazione delle prove e degli indizi raccolti.

Non ho guardato alcuna delle trasmissioni dedicate all’argomento, lo confesso. Mi è capitato solo di incrociare per alcuni istanti una puntata di Porta a Porta immediatamente successiva all’arresto, nella quale faceva bella mostra di sé, in primo piano, la bicicletta dell’imputato. Già solo la vista di quella bicicletta mi è bastata per capire che il programma non mi interessava.

Il fatto è che quella bicicletta era fuori posto. Non diversamente dal plastico della villetta di Cogne, serviva solo a trasferire il dramma in un altro contesto, ad appropriarsene, senza che, in nessun modo, potesse aiutare a guadagnare una migliore comprensione della dinamica degli eventi. Trasportata in uno studio televisivo, era comunque un falso, una replica dell’originale. Così come una replica era anche il dibattito fra le opposte parti, fra accusatori e difensori: un chiacchiericcio inutile, in assenza dei concreti elementi indiziari. È buffo. Mentre gli investigatori si recano sul luogo del delitto, attenti a non alterarlo con il loro passaggio, lo spettacolo prende il reperto e se lo porta a casa. La differenza sta già tutta qui, ed è una questione di rispetto.

Differenza di luoghi, ma anche di sguardi. Mentre gli esperti del Ris e della difesa analizzavano le macchie di sangue al microscopio, simbolo concreto di quella approfondita attenzione che caratterizza un processo penale correttamente condotto, lo studio televisivo mostrava la bicicletta nella sua interezza. In un caso si cerca di “far parlare” gli indizi; nell’altro si esibisce un oggetto muto, costruendoci sopra la propria storia. Da un lato, ricostruzione quasi filologica del valore del singolo reperto, dall’altro variazioni intorno al senso comune.

Così concepito, uno spettacolo televisivo non può restituire un significato a vicende, che appaiono tanto più efferate quanto più sono gratuite. Neanche ci prova, scommettendo invece sul perpetuarsi crudele del dubbio, e quindi sulla possibilità che nuovi apparenti imprevisti stravolgano le apparenti conclusioni raggiunte. Garantendosi così nuove puntate. La liberazione di Alberto Stasi, almeno fino al prossimo Porta a Porta, non è una puntata di uno spettacolo senza fine, ma un momento di un processo che arriverà, si spera, a un definitivo, quanto accorto accertamento della verità.

QUELLA BICICLETTA FUORI POSTO
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(Affaritaliani.it, 28-09-2007)