raffaele solaini
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IIl Gruppo μ è oggi composto dai semiologi belgi Jean Marie Klinkenberg, Philippe Minguet, Francis Edeline, autori nel 1992 del Traité du signe visuel, ultimo capitolo di un percorso di studi avviato nel 1970 con la pubblicazione di Rhétorique Générale e proseguito nel 1977 con Rhétorique de la poesie, cui hanno partecipato anche altri studiosi, fra cui Jacques Dubuois, coautore in entrambi. L’intera attività di ricerca del gruppo è dedicata alla rilettura in chiave semiotica degli studi retorici ad orientamento stilistico, alla ricerca di una fondazione teorica di tipo strutturale che ne consenta il recupero organico e generalizzato, successivamente estendibile ai diversi campi applicativi.
La teoria della metafora è stata elaborata e presentata dal gruppo principalmente nelle due prime opere, oltre che negli articoli che ne hanno accompagnato l’elaborazione, in quanto il successivo Traité, per esplicita dichiarazione programmatica, si limita ad estendere alle semiotiche del visivo i principi di ordine generale elaborati a partire da Retorica generale e successivamente precisati in Retorica della poesia. L’ultimo lavoro del gruppo è infatti dedicato innanzitutto a costruire un metalinguaggio appropriato ai testi visivi, attraverso cui definire dei livelli gerarchizzati di articolazioni pertinenti, tali da indicare le regolarità prevedibili su cui operano le trasformazioni retoriche. Esaurito tale compito, diventa possibile individuare delle metafore anche all’interno delle semiotiche plastiche e iconiche, fatta salva però l’avvertenza sottolineata a più riprese di non trasferire indebitamente da un campo semiotico all’altro le singole figure sulla base di un sincretismo metalinguistico infondato. La metafora produce ‘immagini’ solo nel senso metaforico del termine, senso che, se pur ipercodificato, non può essere re-interpretato nel suo valore letterale. Per evitare questo rischio, il Traité evita di parlare di metafore, denominando piuttosto le singole figure attraverso il particolare meccanismo retorico che le costituisce e limitandosi a sottolineare i casi di parziale analogia formale con le metafore definite all’interno del modello linguistico.

Nonostante il gruppo tragga il proprio nome dalla metafora (μ è l’iniziale greca di “metafora”), ad essa non dedica una attenzione particolare. Compiendo l’operazione inversa rispetto a quella denunciata da Genette, che ha mostrato come la retorica abbia progressivamente ristretto il proprio campo d’azione, trasformandosi da globale teoria del discorso, inteso nella sua duplice funzione persuasiva e di ornamento, a sola teoria dell’elocutio, identificata con pochi tropi privilegiati ridotti infine all’opposizione fra metafora e metonimia, il Gruppo μ intende restituire alla retorica almeno parte della sua originale estensione, progettando una teoria della figura che permetta di articolare le proliferanti tassonomie ereditate dalla tradizione retorica secondo i criteri della semiotica strutturale. In questo quadro la metafora perde centralità, cessa di essere considerata il tropo per antonomasia. Il poco spazio che le viene dedicato, sia nelle monografie fondamentali (i cui titoli mostrano le ambizioni teoriche ampie degli autori), sia negli articoli pubblicati dal gruppo o dai suoi singoli membri, testimonia come anche da un punto di vista teorico essa non occupi più una posizione cardine nel sistema retorico, ruolo nel quale viene sostituita dalla sineddoche. Obiettivo di Retorica generale è proporre una disposizione motivata delle figure, una “forma delle forme” all’interno della quale la metafora si definisca per la posizione occupata e per il rapporto che la correla con gli altri tropi. È sintomatico a questo proposito come anche le critiche specificamente indirizzate contro la definizione della metafora facciano leva su osservazioni di ordine più generale circa l’articolazione del sistema, mettendo in discussione innanzitutto i presupposti linguistici su cui è basata la teoria delle figure e, in particolare, il nesso con la sineddoche. Anche le correzioni di rotta conseguentemente adottate dal Gruppo μ riguardano piuttosto la fondazione semiotica del campo retorico, conducendo infine ad una riflessione metateorica.
Ancor prima che per la particolare posizione che assume all’interno del sistema, la metafora si definisce però in quanto figura, nozione al centro delle riflessioni della nouvelle critique francese della metà degli anni ’60 e che viene consapevolmente sottoposta dal Gruppo μ ad una ridefinizione teorica al fine di evitare di ridurre il discorso sulla retorica ad una ripetizione impotente di poche tautologie, quali “il linguaggio figurato è quello che utilizza figure” e quindi, per riduzione sineddochica, “la metafora è un tropo che mette in opera spostamenti metaforici” (circolarità a volte mascherata rinviando alla nozione di analogia, a sua volta però definita attraverso la metafora). Il Gruppo μ affronta consapevolmente il pericolo della circolarità, luogo in cui la retorica maschera i propri contenuti ideologici, cercando una definizione linguistica della figura da cui sia possibile disimplicare i presupposti estetici e cognitivi che la sostengono.
A partire da Genette, la figura viene assunta come unità pertinente per il riconoscimento e l’analisi del testo poetico e letterario, analisi che può essere condotta solo in chiave semantica a causa della progressiva rinuncia ai criteri distintivi della versificazione che risalgono all’epoca della fruizione orale della letteratura. La semiotica letteraria recupera così il patrimonio innanzitutto terminologico della retorica classica (circondato da un’aura autorevole ma oramai caduto in disgrazia), anch’essa dedicata allo studio dei sensi indiretti. La figura correla una forma marcata e una ipotetica variante retoricamente neutra secondo un rapporto semioticamente motivato che, secondo Genette, dà forma allo ‘spazio del linguaggio’, manifestando così la ‘funzione poetica’ descritta da Jakobson in termini strutturali come proiezione del paradigma sul sintagma. Il testo letterario guadagna così allo stesso tempo opacità referenziale e la sua caratteristica densità semantica che ne consente la descrivibilità.
I neoretori di Liegi ereditano le riflessioni sulla nozione di figura, ponendola al centro di una ‘funzione retorica’ derivata dal modello jakobsoniano ma che lo trascende, di una retorica, quindi, ad esclusiva impronta stilistica, cui è assegnato il compito di descrivere “quali sono i procedimenti del linguaggio che caratterizzano la letteratura”. L’impianto teorico di riferimento si completa con il contributo offerto da Jean Cohen, che in La struttura del testo poetico affianca alla nozione di ‘scarto’ in uso in ambito stilistico quella parallela di ‘riduzione dello scarto’: non ogni scarto costituisce in sé una forma retorica con valenza letteraria; al contrario, possono essere considerate figure solo quelle violazioni del codice riconducibili alla loro forma normale, percorrendo in direzione opposta i meccanismi che le hanno generate. La figura non si instaura attraverso lo scarto ma attraverso la successiva riduzione di esso: alla impertinenza predicativa di ordine sintagmatico, l’interpretazione oppone delle modifiche sul piano paradigmatico, restaurando le condizioni di sensatezza del testo. L’analisi retorica si riduce così alla descrizione delle operazioni sulla cui base viene ridotto lo scarto, offrendo una matrice sistematica per classificare le diverse figure in funzione delle trasformazioni attuate e del piano del linguaggio su cui queste operano.

LA METAFOFA NEL GRUPPO μ
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LA METAFORA COME FIGURA
LA RETORICA GENERALE
In Retorica Generale i presupposti teorici ereditati vengono formalizzati in accordo con le indicazioni teoriche provenienti dalla teoria dell’informazione e dalla semantica strutturale, sulla cui base vengono specificati i concetti operativi utili per la descrizione delle figure. In conformità con i principi della semiotica greimasiana, si verifica innanzitutto uno spostamento del piano di analisi: la forma non marcata che, pur avendo carattere solo virtuale, era equiparata da Genette alla sua variazione figurale, viene posta ad un diverso livello di profondità in quanto esito della scomposizione metalinguistica in unità non manifestate nel testo (in semi, nel caso delle figure che agiscono sul contenuto semantico del lessico). Accettare il principio che il grado zero può essere considerato una costruzione teorica significa affermane di diritto la validità e l’efficacia operativa, reintroducendo una gerarchia fra proprio e figurato che rinforza un’opposizione in sé debole e per questo spesso messa in discussione. Il particolare rapporto di subordinazione posto fra i termini della relazione retorica viene sancito attraverso la loro ridefinizione rispettivamente come ‘grado concepito’ e ‘grado percepito’.
La figura viene quindi scomposta nei suoi elementi costitutivi: la marca retorica, segnale dello scarto, una ‘base’ sintagmatica rispetto alla quale si produce lo scarto, e ‘l’invariante’, posta sull’asse paradigmatico, che costituisce il nesso semantico comune alla forma retorica e alla sua traduzione letterale. La base permette di individuare l’invariante attraverso la ridondanza del testo che genera attese; attese deluse dagli scarti, che operano nel senso inverso riducendo la ridondanza, non oltre, però, il punto limite di accettabilità retorica, che salvaguarda la possibilità di ricostruire l’invariante e quindi di interpretare la figura.
Attraverso il meccanismo descritto, si produce tuttavia una singolare asimmetria: poiché l’invariante è costituita da determinazioni classematiche compatibili con diverse specificazioni semiche, il termine ricostruito non può essere considerato univocamente determinato ma solo una delle interpretazioni possibili attraverso cui restituire coerenza al testo. Per questo il Gruppo μ definisce l’invariante come “l’intersezione dei semi del grado dato della figura e della classe dei suoi gradi costruiti”, mostrando attraverso il concetto di ‘classe’ come l’interpretazione retorica, se pur non indeterminata, sia purtuttavia aperta. Il termine “norma” è quindi da intendere al plurale, ipotizzando un insieme di gradi concepiti ugualmente appropriati. Il grado zero, concetto limite postulato per individuare e fondare i fenomeni retorici e al quale era stata riconosciuta una decidibilità metalinguistica, nel momento della sua concreta ricostruzione interpretativa viene scomposto in una pluralità di varianti possibili, rimettendo in discussione nella prassi l’univocità di un concetto la cui chiarezza era stata affermata sul piano teorico. Accanto ad un ‘grado zero teorico’ (“il discorso ridotto ai suoi semi essenziali”), viene così definito un ‘grado zero pratico’, un concetto graduato piuttosto che assoluto, riconoscibile per la tendenza alla chiarezza e all’univocità referenziale e per la soppressione del numero maggiore possibile di determinazioni semantiche ‘laterali’.
Si elencano poi le quattro operazioni di trasformazione: aggiunzione, soppressione, aggiunzione-soppressione e permutazione (pure essa definibile come operazione di aggiunzione e soppressione che agisce su punti distinti del sintagma). Ogni trasformazione costituisce una ‘metabola’, genere internamente articolato in funzione dell’estensione delle unità modificate e della presenza o dell’assenza di rilievo semantico. Incrociando il tipo di operazione compiuto con il livello del linguaggio investito, il Gruppo μ ottiene una matrice che intende coprire il campo retorico ben oltre i limiti dell’antica elocutio, giustificando così la pretesa degli autori di aver ricostruito una teoria ‘generale’, adeguata per spiegare ogni fenomeno retorico.

LA METAFORA TRA LE ALTRE FIGURE
La metafora è un ‘metasemema’ che dipende da una doppia operazione di aggiunzione – soppressione di semi, in quanto tale equiparabile alla composizione di due sineddochi orientate in senso opposto secondo l’asse della generalità. Mentre la sineddoche introduce un dislivello fra l’elemento percepito e quello ricostruito, la metafora opera fra termini di livello costante, in quanto l’impoverimento intensionale determinato dall’iniziale soppressione di semi viene bilanciato dalla successiva operazione di aggiunzione.
Descrivere la metafora significa quindi definire la sineddoche che la costituisce, facendo riferimento innanzitutto al modello di scomposizione semantica adottato per rendere conto delle operazioni da essa compiute. Sovrapponendo l’approccio di Greimas (1966), che prevede un’analisi in unità concettuali o semi, e quello di Pottier (1965), che distingue le componenti materiali, il Gruppo μ distingue e correla due modelli, definiti rispettivamente in Σ e in Π, costruendo così una semantica a vocazione anche estensionale. Si intende, dunque, per scomposizione in Σ l’analisi in semi correlati fra di loro secondo un rapporto di somma logica (da cui Σ); la scomposizione in Π, invece, prevede la pertinentizzazione di parti fra loro correlate secondo un rapporto di prodotto logico (da cui Π). La scomposizione concettuale in Σ costruisce un incasellamento in classi secondo criteri di analogia; quello materiale si basa sulle differenze reali.
La somma delle due procedure d’analisi proietta all’interno del linguaggio i meccanismi cognitivi definiti dalla psicologia della Gestalt, alle cui premesse di ordine epistemologico il Gruppo μ fa riferimento per giustificare teoricamente il sincretismo metodologico attuato nel correlare un modello semantico a carattere concettuale con quello di tipo referenziale. Secondo la ‘psicologia della forma’, infatti, la conoscenza dipende dall’individuazione di proprietà translocali (rappresentate attraverso il modello Σ), sulla cui base si procede alla successiva segregazione di unità (indicate sul modello Π). Nonostante il debito metodologico contratto con la semiotica greimasiana, il Gruppo μ, dunque, varia il contesto espistemologico entro cui le nozioni da essa derivate vengono applicate, aprendo una contesa che verrà chiarita nei suoi termini fondamentali nel Traité. La retorica è un gioco cognitivo che mette in luce una “semantica implicita ma non incosciente”, un’alterazione della dinamica costitutiva del senso fra le determinazioni concettuali e i costituenti empirici; essa riproduce la dialettica cognitiva definita da Piaget attraverso l’opposizione fra ‘assimilazione’ e ‘accomodamento’, agendo, da un lato, nel senso dell’inserzione delle stimolazioni percettive entro i quadri concettuali dati, e, dall’altro nella direzione dell’adattamento di questi alla realtà circostante.
Sulla base del modello semantico adottato e dell’operazione retorica compiuta (aggiunzione o soppressione), si costruisce una ‘matrice tropica profonda’ che distingue quattro forme di sineddochi : sineddoche generalizzante in Σ e in Π, sineddoche particolarizzante in Σ e in Π.

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Non tutte le sineddochi logicamente possibili sono però retoricamente equivalenti, in quanto alcune appaiono maggiormente ‘sentite’ di altre. È accettabile l’uso di “mortali” per “uomini” (Sg Σ), meno quello di “pugnale” per “arma” (Sp Σ), sostituzione che, piuttosto che una figura retorica, implica solo la ricerca di maggior dettaglio. Ancora, è corretto dire “lama” al posto di “pugnale” (Sp Π); lo è meno dire “l’uomo prese una sigaretta e l’accese” (Sp Π), intendendo “uomo” come sostituito retorico di “mano”. Le quattro forme possono quindi essere distinte in due coppie: sineddochi ‘esplicitanti’ (Sg Σ e Sp Π) a carattere soppressivo, che mettono in risalto nel grado percepito i semi o le parti maggiormente pertinenti; quelle ‘implicitanti’ (Sp Σ e Sg Π) che, aggiungendo componenti semantiche, diluiscono nel grado percepito il contenuto del grado concepito. Le forme esplicitanti sono quelle maggiormente ‘sentite’ in quanto focalizzano la porzione di contenuto messa in rilievo.

Combinando due sineddochi complementari (vale a dire una generalizzante ed una particolarizzante), generate secondo i modelli Π o Σ, è possibile in teoria costruire quattro tipi di metafora, due soli dei quali, però, in accordo con le limitazioni imposte alla formazione della sineddoche, sono retoricamente accettabili.

Sono corrette la ‘metafora concettuale’ (Sg + Sp)Σ e la ‘metafora referenziale’ (Sp + Sg)Π. In entrambi i casi si tratta di trovare un’intersezione (l’Invariante) fra il grado percepito e quello concepito che, nel caso delle metafore concettuali, consiste in una classe limite nella quale i due oggetti compaiano insieme, essendo però separati in tutte le classi inferiori e, nel caso della metafora referenziale, in un insieme di parti comuni.
L’intersezione, tuttavia, permette la predicazione metaforica ma non ne esaurisce il valore figurale: attraverso di essa si produce un transfert di proprietà, a seguito del quale vengono attribuiti a ciascun termine i semi (o le parti) che a rigore valgono solo per l’intersezione. In questo modo la metafora assume carattere espansivo, spesso sottolineato dalla sovrapposizione di ulteriori figure: nell’esempio citato da Pascal: “L’uomo è una canna, la più fragile della natura, ma una canna che pensa”, fra “uomo e canna” si instaura un rapporto metaforico sulla base dell’invariante esplicitata “fragilità”. La debolezza del confronto viene però corretta attraverso il rapporto sineddochico fra “uomo” e “pensiero”, che riferito alla canna, tende verso l’ossimoro. Come è stato poi affermato da Weinrich, anche secondo il Gruppo μ le buone metafore non sono quelle che connettono termini distanti rispetto ad una classificazione per generi e specie, ma quelle nelle quali la contraddizione appare maggiormente stridente. Scopo e carattere distintivo di una metafora “corretta” è “far esplodere il reale, creare uno choc estraendo una contraddizione da un’identità”.

La metonimia viene accomunata alla metafora in quanto è determinata anch’essa da un’operazione complessa di soppressione – aggiunzione e quindi, come la metafora, costituisce un metasemema di livello costante. Le due figure si distinguono, tuttavia, poiché, nel caso della metonimia, fra i due termini non vi è intersezione ma inglobamento reciproco. L’invariante su cui si basa la relazione non è costituita in questo caso da un sema o da una parte comune ad entrambi i termini ma da un insieme concettuale o materiale entro il quale questi possano ricorrere. In questo modo la metonimia realizza gli schemi di doppia sineddoche non concessi alla metafora.
In conseguenza del diverso nesso semantico adottato, metafora e metonimia si distinguono anche da un punto di vista epistemologico: comprendere la prima significa analizzare i termini nei suoi componenti dati; per interpretare la seconda, invece, è necessario postulare, secondo un procedimento logico simile alla petitio principii, l’insieme inglobante, ipotizzando ogni volta una diversa base per la spiegazione dell’occorrenza di ogni singola figura. Sotto questo aspetto, la descrizione della figura proposta dal Gruppo μ si avvicina a quella avanzata da Eco (1984) che, fondando la metonimia su una rappresentazione semantica in formato enciclopedico, riconosce come ogni sua occorrenza debba essere interpretata attraverso un modello costruito ad hoc. Questa differenza si riflette sulla successiva definizione della metafora che, per Eco, si basa sulla somma di due metonimie piuttosto che di due sineddochi. Il che equivale a riconoscere che, per tute le figure, il significato letterale postulato come sfondo su cui si staglia la retoricità, è in realtà elaborato a posteriori dall’analisi che volta per volta lo ricostruisce.

La teoria della metafora del Gruppo μ è stata fatta oggetto di critica da parte di Paul Ricoeur, che ad essa e ai presupposti teorici che la sostengono dedica un intero capitolo di Metafora Viva, l’ultimo paragrafo del quale contiene un’analisi puntuale di Retorica Generale. Ricoeur contesta la scelta metodologica di fondo, obiettando circa l’adeguatezza dell’analisi semica come strumento capace di spiegare, oltre alle metafore d’uso oramai entrate all’interno del significato ampio ma codificato del termine, anche le metafore di invenzione. All’interno del sistema di Retorica Generale non sarebbe quindi possibile distinguere la figuralità dalla polisemia lessicale, che ammette scarti entro paradigmi dati, così come non si potrebbero descrivere le figure semanticamente innovative, irriducibili a tratti codificati. Le metafore nascono già morte e per questa ragione è sembrato opportuno “correggerle” combinandole con ulteriori figure che ne amplino il valore semantico oltre la ricostruzione dell’intersezione.
In accordo con l’approccio di Algirdas Greimas, che in Semantica Strutturale riduce i sensi laterali a variazioni del nucleo semico per le diverse classi contestuali, la retorica del Gruppo μ mette a repentaglio la propria specificità, identificandosi piuttosto con l’analisi della forma delle varianti dizionariali, intese come regole per generare la figuralità. La metafora si colloca dunque all’interno di un’opposizione difficilmente mediabile fra banalità e bizzarro concettualismo, senza trovare un punto di equilibrio ottimale: se la figura è spiegabile, lo scarto non è realmente tale ma costituisce una variazione ammessa; se non è spiegabile, non si tratta di una figura ma di un errore. È il paradosso segnalato da Umberto Eco che sottolinea i limiti entro i quali si muove un approccio strutturale alla metafora, violazione di un codice che quello stesso codice dovrebbe spiegare: si richiede al sistema di rendere conto di ciò che esso non sarebbe predisposto a generare: il proprio mal funzionamento. Allo scopo di evitare tale paradosso, Retorica generale privilegia l’analisi di forme ipercodificate, come può testimoniare una cernita degli scarsi esempi citati; forme da manuale, spesso metafore in praesentia (nonostante sia stata accordata preferenza teorica alla metafora in absentia), nelle quale si tratta di approntare un modello teorico che renda conto dell’intersezione fra termini dati, ma che non mettono alla prova la teoria su casi di difficile interpretazione.
Non mi sembra superfluo accennare al fatto che le critiche mosse da Ricoeur al Gruppo μ e al modello semiotico cui gli studiosi di Liegi fanno riferimento rientrano nel più ampio dibattito fra ermeneutica e semiotica (il capitolo dedicato al Gruppo μ è peraltro intitolato a Greimas, a testimonianza di un colloquio comunque proficuo ed attento). Potenza e limite della semiotica è, secondo Ricoeur, quello di spiegare in maggior dettaglio, permettendo quindi anche una migliore comprensione, ciò che anche solo in modo approssimativo è già stato compreso, riconducendo le forme discorsive ai paradigmi che le hanno generate. Da un punto di vista ermeneutico, l’analisi strutturale della metafora mostra la medesima circolarità fra comprensione e spiegazione, fallendo necessariamente dove si tratta di interpretare forme nuove non assimilabili alle strutture di precomprensione disponibili. Così come il racconto, anche la metafora produce nuovo senso, amplia i limiti della polisemia ammissibile sul piano sintagmatico, il che equivale però ad abbandonare la teoria sostitutiva a favore di quella predicativa.

Le critiche di ordine generale mosse alla teoria della metafora si focalizzano sul ruolo riconosciuto alla sineddoche, posta al centro del sistema secondo Ricoeur perché funzionale a confermarne e proteggerne i meccanismi piuttosto che a descrivere e a generare le forme retoriche. Sullo stesso argomento torna con particolare insistenza Nicolas Ruwet, in un articolo pubblicato su Poetique nello stesso anno di Metafora viva, che, insieme all’opera di Ricoeur, costituisce il corpus critico cui il Gruppo μ ritiene di rispondere nell’introduzione all’edizione italiana di Retorica Generale del 1976. Contestare il valore della sineddoche come componente della matrice tropica profonda da cui si generano tutti gli altri metasememi equivale infatti a contestare l’adeguatezza dell’intero sistema che su tale matrice è stato eretto.
Ruwet osserva innanzitutto lo scarso tasso di retoricità della sineddoche, figura dai confini incerti, spesso confusa con la metonimia e altre volte difficilmente distinguibile dagli usi letterali del linguaggio, che di norma rappresenta la realtà attraverso un filtro variamente generalizzante, senza che questo implichi uno scarto retorico. (“Ho visto una vela” può costituire un caso di assoluta precisione denotativa piuttosto che uno scarto retorico). Per restituire alla sineddoche valore retorico, il Gruppo μ è obbligato ad ampliarne la definizione, ed è questa la seconda osservazione di Ruwet, oltre i casi di passaggio fra genere e specie, utilizzando modelli di analisi semantica non coerenti, che permettono di ricondurre sotto la nozione ombrello di ‘sema’ tratti eterogenei che non possono essere ricondotti allo stesso titolo ad un sistema semantico. La ‘flessibilità’ non può essere considerata genere né di ‘betulla’ né di ‘fanciulla’. Per questo la sostituzione dei due termini produce una metafora, ma non attraverso la mediazione di una sineddoche.
Il Gruppo μ accoglie le osservazioni di Ruwet, che hanno il merito di porre in questione la descrivibilità dei fenomeni retorici, in generale, e della metafora, in particolare, in termini infralinguistici, accettando di ridisegnare il sistema semantico sulla cui base vengono interpretate le figure. Citando puntualmente le osservazioni di Ruwet, viene presupposta una competenza enciclopedica aperta, della quale facciano parte anche la teoria della referenza, degli atti linguistici e degli effetti cotestuali e contestuali, sulla cui base sia possibile costruire una teoria generale dell’interpretazione degli enunciati, di cui l’analisi delle figure costituisce una parte.
Viene così salvaguardata la centralità della sineddoche, anche al costo di estenderne il campo fino a coprire casi normalmente considerati metonimici. Le due figure vanno tenute distinte in quanto mettono capo ad operazioni diverse, ma si riconosce che le oscillazioni riscontrabili nel considerare singoli casi come occorrenze dell’una o dell’altra dipende dal modello semantico adottato. La riflessione sulla retorica porta quindi ad un più globale ripensamento metateorico, che riguarda il campo di pertinenza della linguistica e gli strumenti operativi da adottare per coprire al meglio tale campo, all’interno del quale la metafora costituisce un difficile banco di prova. Il contrasto fra il Gruppo μ e Nicolas Ruwet si riduce quindi alla questione dello statuto semiotico e della rappresentabilità dell’enciclopedia.

Quattro sono, dunque, le classi di metabole:
metaplasmi: figure che modificano l’aspetto sonoro o grafico delle parole e delle unità di ordine inferiore alla parola.
metatassi: figure che modificano la struttura della frase, alterando la posizione di sintagmi e morfemi.
metasememi: figure che modificano la composizione semica delle unità concettuali lessicalizzate; coprono quindi il campo dei tropi o delle figure di parola. Poiché la parola è considerata “un insieme di semi nucleari senza ordine interno e senza possibilità di ripetizione”, nell’ambito dei metasememi non sono possibili operazioni di permutazione.
metalogismi: coprono l’ambito delle antiche figure di pensiero. Modificano il valore logico di una frase, così che lo scarto investe il rapporto fra linguaggio e realtà.
IL PASSAGGIO CRITICO
LA "RETORICA DELLA POESIA"
La discussione sorta intorno al ruolo della sineddoche, tropo che attiva il dizionario di riferimento senza metterlo in discussione, testimonia della difficoltà di Retorica Generale nell’individuare e nel descrivere gli scarti effettivamente innovativi, fra cui innanzitutto le “metafore vive” e, più in generale, i fenomeni marcatamente retorici. Tale limite viene ammesso, del resto, dagli stessi autori, costretti a riconoscere una sostanziale analogia formale fra le normali definizioni e le espressioni figurate. Fra il già citato esempio “L’uomo è una canna che pensa” e l’affermazione non retorica di Giraud “La stilistica è la retorica dei moderni” non sembra esserci alcuna differenza che non sia questione “quantitativa più che qualitativa”, così che appare in tutta evidenza “quanto la retorica sia vicina alle abituali procedure di produzione di senso.” Mentre le metafore ipercodificate tendono a perdere la loro figuralità, ogni enunciato, compreso quello di Giraud, appare potenzialmente retorico a partire dall’attribuzione ad un soggetto di predicati ad esso non analiticamente pertinenti.
La tendenziale sovrapposizione fra retorica e semantica prefigura una concezione pan-retoricista che contraddice l’ipotesi iniziale, secondo la quale i fenomeni retorici sono distinguibili in quanto violazioni di una regola data, e che si risolve nell’impossibilità di rappresentare la specificità dei fenomeni letterari in funzione della presenza di figure. La debolezza descrittiva dell’impianto originale viene spiegata nelle sue ragioni di fondo nell’introduzione di Retorica della Poesia. Il precedente lavoro si muoveva entro un paradosso irrisolto, del quale gli stessi autori dichiarano di non essersi immediatamente resi conto: mentre ogni fatto poetico dipende dall’esistenza di figure, non è vera l’affermazione reciproca secondo la quale ogni figura ha carattere poetico. Il progetto di ricerca, nato come teoria retorica della letteratura, mostra i propri limiti proprio nell’insufficiente caratterizzazione del fatto letterario, che incide alla fine sulla possibilità stessa di definire in modo adeguato le diverse figure, in quanto procedimenti di esso peculiari. Si manifesta, dunque, la necessità di affiancare ad un approccio descrittivo, comunque rivendicato alla retorica, capace di scindere il problema dei meccanismi linguistici che fondano le condizioni oggettive dell’esistenza delle figure da quello del loro valore estetico, dei criteri normativi attraverso i quali discriminare lungo il continuum dell’ampliamento possibile del valore semantico di un termine un confine fra le variazioni codificate e gli scarti con valore stilistico. La figura caratterizza il poetico, ma solo la poesia permette di riconoscere le figure propriamente retoriche, così che la mancanza di adeguati criteri valutativi si traduce nell’incapacità di proporre un modello descrittivo soddisfacente:

La figura, onnipresente, poteva sembrare un procedimento così ‘generale’, di
fatto, da riassumere la retorica, così come la concepiamo noi, in una linguistica
allargata, comprendente i sensi indiretti e le unità di lunghezza superiore alla
frase. Ma credere a questa dilatazione vuol forse dire liquidare a buon mercato
la specificità del processo retorico. Questa specificità potrebbe essere illustrata
con il caso della metafora, una figura che ha suscitato una ben nota e ampia
riflessione, da Aristotele fino a Ricoeur.

Una volta identificate le forme linguistiche universalmente operanti attraverso cui si realizza la ‘funzione poetica’ rimane dunque da definire la specificità della poesia, precisando quella che in Retorica Generale era la teoria solamente abbozzata dell’ethos, ovvero degli effetti delle figure irriducibili ai soli meccanismi linguistici che le hanno determinate. Solo in questo modo diventa possibile, da un lato, garantire un’effettiva descrivibilità dei fenomeni retorici, costitutivi per definizione del testo poetico, e, dall’altro, salvaguardare la teoria dal quell’idealismo di derivazione Crociana, obiettivo polemico principale fin dall’apertura di Retorica generale, secondo il quale l’arte coincide con qualsiasi espressione individuale e inanalizzabile. La focalizzazione sulla “retorica della poesia” serve dunque ad andare oltre i limiti della precedente opera, soprattutto per quanto riguarda la descrizione del carattere estetico di un testo (anche se non del suo valore), per determinare il quale appare necessario un modificato impianto teorico: non si tratta solo di applicare uno schema consolidato ad un campo particolare, ma di mettere alla prova la teoria là dove essa trova il suo più proprio ma anche problematico ambito applicativo, modificandola ove risulti inadeguata.
LA RIDEFINIZIONE DEI CONCETTI OPERATIVI

La trasformazione del modello di scomposizione semantica in un formato enciclopedico incide sul valore operativo della nozione di isotopia, introducendo un grado di indecidibilità nel processo di riconoscimento delle isotopie pertinenti e nella determinazione di un possibile ordine gerarchico all’interno di esse. La scelta dell’isotopia, infatti, è questione che non può più essere risolta a livello puramente testuale attraverso un calcolo semico, rimandando spesso anche a variabili contestuali o pre-testuali, vale a dire dipendenti da valori semantici precedentemente codificati all’interno di generi particolari. Inoltre, poiché appare difficile stabilire con certezza una gerarchia fra isotopie potenziali contemporaneamente presenti in un testo, qualora le figure retoriche segnalino delle incoerenze semantiche, diventa impossibile distinguere fra base isotopica ed elemento allotopo: entrambi possono essere assunti come criterio di coerenza cui l’elemento eterogeneo deve essere ricondotto. Nell’esempio citato dal Gruppo μ, lo slogan pubblicitario “Metti una tigre nel motore”, normalmente interpretato presumendo il topic “automobile”, sulla cui base “tigre” rinvia ad un tipo di carburante, potrebbe assumere un significato opposto in funzione di diverse selezioni circostanziali. In uno zoo, ad esempio, sarebbe possibile leggere “tigre” come base letterale e “motore” come forma metaforica da ridurre. Si costituisce così, di fatto e di diritto, una doppia prospettiva di lettura che rimane contemporaneamente attiva.
La figura, dunque, non si identifica con lo scarto e con l’operazione che ne consente la riduzione, né permette la sostituzione della forma retoricamente marcata con quella letterale, caratterizzandosi, al contrario, per l’irriducibile polisemia e per la tensione semantica che ne deriva. La precisazione teorica viene sottolineata sostituendo alla nozione di ‘riduzione’ quella di ‘rivalutazione’, intesa come operazione che tende ad indicizzare il maggior numero possibile di termini su tutte isotopie riconosciute, rafforzandone così la pertinenza.
“Le rivalutazioni di cui si è parlato non sono procedure di riduzione. Perciò si è insistito sul fatto che termini come soppressione – aggiunzione non dovevano essere intesi come definenti la figura stessa, bensì la relazione tra ciò che è dato e ciò che è costruito. In definitiva le figure retoriche si definiscono proprio per la loro polisemia.
In generale, viene messa in discussione la nozione sostitutiva della figura che è legata ad un rapporto gerarchico fra i sensi, sia che attraverso la riduzione dello scarto si sottolinei il valore fondamentale del senso letterale, sia che, per scelta estetica opposta, si consideri il tenore come un semplice pretesto, focalizzando l’attenzione sul veicolo in quanto trasformazione poetica di un grado zero assente. Il vero cambio di paradigma, secondo il Gruppo μ, non sta quindi nell’inversione del rapporto gerarchico fra i termini retoricamente correlati, o, alternativamente, nella valorizzazione della sola intersezione fra di essi, ma nel superamento di una concezione monista e gerarchizzante della figura.
La polisemia retorica rimane tuttavia distinta da quella incardinata nei paradigmi dalla langue. Innanzitutto, i valori semantici alternativi sono contemporaneamente presenti. In questo quadro, anche le singole figure appaiono sotto una diversa luce: nel caso della metafora, ad esempio, l’opposizione teorica fra la forma in absentia, che ne esemplificava la concezione sostitutiva, e quella in praesentia (e quindi anche fra la metafora e il paragone) si riduce a un problema di diverso valore estetico, essendo comunque centrale il carattere tensivo, sia esso manifestato discorsivamente o semanticamente implicato. Inoltre, la polisemia retorica può eccedere i limiti concessi dalle variazioni paradigmatiche codificate, senza peraltro generare ambiguità. Essa si colloca all’interno di un sintagma che al tempo stesso la costituisce e la disciplina, attribuendo i termini ad isotopie impreviste ma testualmente determinate, da un lato, e riducendo su ciascun piano di lettura le ambiguità potenziali, dall’altro. In questo modo il testo poetico si trasforma in una totalità autonoma, istituendo un proprio codice a valore solo locale che, se pur richiede una lettura plurivoca, allo stesso tempo impedisce interpretazioni destrutturanti o criptiche.

La presenza di più isotopie correlate rappresenta la marca distintiva dei testi retoricamente costruiti, fatti perciò oggetto di una lettura attiva che, a partire dal riconoscimento di una singola figura, lo investe nella sua interezza. Ogni scarto diventa indice della possibilità di individuare nuove isotopie attive, sulla cui base moltiplicano il loro valore semantico anche i sintagmi che in sé non avrebbero avuto carattere retorico ma che lo acquisiscono per successiva proiezione. Il testo viene così interpretato come una matrice di correlazione fra letture alternative delle medesime unità, all’interno della quale sono possibili continue rivalutazioni orientate in senso inverso, vale a dire sia ‘proversive’ (con l’adattamento dalla figura alle isotopie già installate), sia ‘retrospettive’ (producendo un effetto feed-back della figura sulle isotopie precedentemente ipotizzate). Gli effetti della figura si estendono lungo tutto il testo che, nella sua globalità, assume carattere retorico:
“Non è possibile, infatti, limitarsi a considerare l’allotopia, o rottura di isotopia, come un fatto strettamente puntuale: dal momento che l’isotopia è definita come una proprietà di discorso, è proprio su questo piano che vanno considerate tutte le ripercussioni del fenomeno.”
All’interno del testo poli-isotopo, le figure sono delle ‘strutture di equazione’, ‘unità di correlazione’, sintagmi, cioè, di diversa estensione con una funzione di mediazione e di ancoraggio fra isotopie che permettono, accanto ed oltre una normale lettura lineare, quella che viene definita la ‘lettura tabulare’, risultato della sovrapposizione delle diverse interpretazioni delle unità del testo.
In virtù della sua struttura semantica basata sull’intersezione semica, che la rende particolarmente adatta al compito di attivare le connessioni, la metafora diventa il tropo fondamentale rispetto agli altri, che appaiono meno adeguati allo scopo. Poiché lavora solo fra genere a specie la sineddoche non correla piani allotopi, variando piuttosto solo il livello di generalità di un testo (che pure costituisce un’isotopia pertinente non solo sul piano stilistico). Anche la metonimia, potenziale tropo di connessione come la metafora, perché fondata anch’essa da una doppia operazione di aggiunzione-soprressione, appare meno efficace di questa, in quanto le unità allotope vengono correlate entro un insieme preventivamente postulato invece che ricostruito a partire dall’intersezione. La metonimia, figura per ‘contiguità’, lavora all’interno di un’unità semantica data, entro la quale si relazionano tratti eterogenei, piuttosto che fra unità semantiche alternative che necessitano di una mediazione retorica. Se pure rimane un tropo derivato e secondario rispetto al meccanismo retorico che la costituisce, si giustifica, tuttavia, il valore retorico fondamentale della metafora, la cui presenza è spesso condizione necessaria per risemantizzare unità retoriche più ampie all’interno delle isotopie alternative che essa per prima ha istituito.

UN MODELLO DI LETTURA POETICA DEL TESTO

La correlazione sistematica lungo tutto il testo di isotopie alternative ma compresenti costituisce l’elemento di novità introdotto in Retorica della Poesia, attraverso il quale il Gruppo μ intende restituire centralità alla funzione cognitiva della retorica, sacrificata all’interno di una concezione sostitutiva delle figure. La retorica è il luogo della mediazione; la retorica poetica, in particolare, media fra termini contrari, azzarda la coincidentia oppositorum, svolgendo lo stesso compito attribuito da Lèvi-Strauss al mito e da Durand al simbolo. La poesia si iscrive, dunque, in un universo di opposizioni che ne determinano il carattere estetico culturalmente determinato e che, nel caso dell’episteme occidentale, si organizza intorno a tre polarità estreme, tre “classi a priori”, la cui correlazione “regge l’ideologia estetica della poesia”. Si tratta dei termini Anthropos, Kosmos e, in posizione sovraordinata, Logos, che riassumono l’opposizione ricorrente e fondamentale fra soggettività e oggettività, ovvero fra microcosmo e macrocosmo, cultura e natura, alle quali le isotopie pertinenti nel testo rinviano per sineddoche massimamente generalizzante.
Il linguaggio compare al tempo stesso come strumento mediatore e come polarità tematizzata che, soprattutto nella poesia contemporanea, si mostra all’opera. Da un lato, infatti, l’antinomia fra Anthropos e Kosmos ripete l’opposizione fondamentale all’interno dell’universo semantico immanente, riproponendo i termini della dialettica cognitiva che già in Retorica Generale mediava fra concettualizzazione e percezione o, nei termini di Piaget, fra assimilazione e accomodamento, e che aveva motivato l’uso dei due modelli semantici complementari Σ e Π. In questo modo, il discorso poetico altro non diventa che una “espansione della relazione semionoetica”, della quale mette in scena il normale procedimento di categorizzazione, distinguendosi dalle attività cognitive di carattere scientifico solo per il disinteresse per la verifica estensionale, ovvero per l’assoluta prevalenza del momento dell’assimilazione rispetto a quello dell’accomodamento, che permette un libero gioco esplorativo, ai confini dei codici istituzionalizzati. Dall’altro, poiché mette in scena il funzionamento del linguaggio al livello del suo sintagma minimo, la poesia si propone come processo cognitivo esibito e messo in azione, generando il senso di chiusura e di totalità caratteristico di un modello dell’universo ridotto ma autosufficiente , e l’ethos euforizzante che riflette l’avvenuta integrazione della soggettività con il mondo esterno.
Di questa elaborazione, a carattere anche solo implicitamente metalinguistico, la metafora costituisce, come già sottolineato, lo strumento privilegiato in quanto immediata sovrapposizione di termini allotopi iscrivibili nelle opposte isotopie, anch’esse metaforicamente correlate, Anthropos e Kosmos. La correlazione appare diretta e perciò maggiormente efficace: un valore semantico si sostituisce a un altro, assente ma ricostruito, sopprimendo gli indici discorsivi della mediazione (il “come” del paragone) che introdurrebbero un principio di razionalità estraneo e stridente con il poetico. Soprattutto, la metafora in absentia sopprime la copula connettiva “è”, che rimanderebbe ad una mediazione con implicazioni esistenziali escluse dal poetico, le cui associazioni, interne al linguaggio, rimangono di carattere mitico. Su questo punto è possibile misurare tutta la distanza che, anche dopo Retorica della Poesia, separa il Gruppo μ da Paul Ricoeur, rispetto al quale rimane una divergenza fondamentale circa il valore predicativo e quindi esistenziale della metafora. Mentre per Ricoeur la metafora non elude il problema della referenza, mirando al contrario a un rapporto più profondo seppur spostato con la realtà, il Gruppo μ mantiene intatta l’opposizione fra il senso retorico e il senso adattato al reale, opposizione mobile e basata su criteri solo di ordine pragmatico, riaffermata tuttavia per distinguere due regimi cognitivi non assimilabili seppur fondati sul medesimo processo semiotico.

Rimane solo da sottolineare i limiti epistemologici che il Gruppo μ riconosce al proprio modello a partire dal momento in cui ha inserito criteri di ordine estetico per distinguere le figure poetiche e quindi più propriamente retoriche. La teoria indica uno schema di lettura poetica del testo piuttosto che una definizione del testo poetico, rinunciando ad offrirne una descrizione oggettivante in termini puramente linguistici. Poesie sono quei testi, riconoscibili empiricamente perché tramandati sulle raccolte di poesia, che meglio si adattano ad essere letti in accordo con i principi estetici riconosciuti e storicamente determinati, non essendo neppure dato un criterio di adeguatezza, ovvero non essendo decidibile a priori quali isotopie possano fare riferimento all’opposizione Anthropos – Kosmos.
Il metalinguaggio descrittivo si sovrappone al linguaggio oggetto, organizzandolo secondo un’opposizione binaria inesistente entro il sistema semantico immanente ma proiettata su di esso dalla critica che genera il poetico a partire dai propri valori. Poesia è quella riconosciuta all’interno di un ordine estetico con valenze cognitive e che questo stesso ordine permette di riaffermare anche attraverso le variazioni strutturali permesse al suo interno, perciò stesso autorevolmente tramandata e consacrata all’interno della tradizione. Anche le figure retoriche, che del poetico costituiscono l’ossatura, si iscrivono entro il medesimo sistema, essendo da esso fondate piuttosto che costituirne una matrice indipendente. La retorica rimane una questione di exempla assestati, attraverso cui perpetuare la circolarità fra il modello d’analisi e le qualità estetiche che esso invera, circolarità alla quale neppure Retorica della Poesia si sottrae, denunciandone piuttosto l’inevitabilità, testimone della strutturale compromissione fra poesia, retorica e ideologia.
Nella misura in cui è l’ideologia che riconosce, delimita la poesia, il tentativo di risalire da questa a quella rischia di chiudersi in un movimento circolare. Questa circolarità è particolarmente evidente quando si interpreta la poesia attraverso le sue dottrine. Abitualmente, infatti, la dottrina no ha altro fine che quello di fondare sulla ragione o sulla necessità quale gesto arbitrario che è la scrittura poetica.

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Nella descrizione degli enunciati iconici, ad esempio, il Gruppo μ distingue fra ‘sotto-unità determinanti’ e ‘marche’, individuando così una doppia articolazione per certi versi simile a quella caratteristica dei linguaggi verbali (cfr. 1992, 152).
Cfr. Gruppo μ (1992, 274): “L’effet peut facilement toucher au ridicule, et c’est le moment de rappeler cette observation que nous faisions à propos des métaphores visuelles dans la rhétorique Générale : on peut sans difficultè louer le «cou de cygne» d’une jeune personne, mais le peintre qui représenterait cette personne avec le long cou blanc du volatile obtiendrait un effet opposé.” L’esigenza di non confondere le ‘immagini’ della retorica verbale con le immagini proprie delle semiotiche visive è alla base anche del titolo dell’opera, che sceglie per questo di usare la nozione meno compromessa di ‘segno visivo’.
Cfr. Genette, 1970
Cfr. Jakobson, 1963
Cfr. Ruwet, 1975
Cfr. Ruwet, 1975; Ricoeur, 1975, Eco, 1984
Cfr. Klinkenberg, 1983
Il problema del rapporto fra retorica e ideologia, cui il Gruppo μ accenna già nell’introduzione alla traduzione italiana di Retorica Generale, viene tematizzato in Retorica della Poesia: la retorica diventa ideologica trasformando le proprie categorie descrittive in parametri normativi. Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it. 210): “Rimane il fatto che il modello retorico di analisi del discorso non si libera facilmente dai legami ideologici che esso deve alle sue origini e alla sua storia. Non è facile accreditare il punto di vista secondo cui una teoria delle figure è una teoria delle combinazioni possibili tra unità linguistiche e non delle combinazioni buone, necessarie o normali.”
Sono indicative a questo proposito le osservazioni di Genette (1969), che critica la teoria della figura di J. Cohen, il precedente teorico al quale il Gruppo μ fa più esplicitamente riferimento in Retorica Generale, sottolineando la loro strumentalità rispetto alle scelte estetiche postulate dall’autore. La nozione di ‘figura’ dovrebbe permettere di riconoscere e descrivere le qualità poetiche del linguaggio, ma risulta derivata da queste in quanto mezzo per rendere conto di valori letterari previamente riconosciuti. Si instaura così una circolarità fra metalinguaggio descrittivo e linguaggio oggetto, denunciata già nel titolo del saggio citato: “Linguaggio poetico e poetica del linguaggio”
Sebbene fin da Retorica Generale la ‘funzione retorica’ venga programmaticamente opposta alla funzione informativa e referenziale del linguaggio, l’analisi delle figure presuppone un modello di descrizione semantica che le colloca all’interno di una episteme.
Cfr. Genette, 1966, 1969
Cfr. Todorov (1979, 722): “L’expression ‘sémiotique de la littérature’ ne peut être employée dans le cadre d’une réflexion scientifique qu’à condition d’être entendue au sens de rhétorique.”
Cfr. Genette, 1966, 207
Cfr. Jakobson, 1963
Cfr. Todorov, 1967, 102: “Le «caractère propre» du discours, qu’on appelle aujourd’hui sa fonction poétique, le rend opaque, tel un habit sur un corps invisible, et nous permet de le voir pour la première fois. L’existence des figures équivaut à l’existence du discours.”
Per il Gruppo μ, il messaggio, cui rinvia autoreferenzialmente il testo poetico, non è una componente fra le altre del linguaggio, ma il prodotto delle atre quattro funzioni; per questo, la ‘funzione retorica’ trascende la ‘funzione poetica’, in quanto, coè, investe ogni livello del testo.
Cfr. Guppo μ, (1970, 17).
Cfr. Cohen, 1966
Cfr. Ricoeur (1975, tr. it., 183): “Per conseguenza, è possibile vedere nella nuova retorica, da un lato una ripetizione, scarsamente interessante, della retorica classica per ciò che riguarda la stessa descrizione della metafora – la quale resta immutata, cioè una sostituzione di senso a livello della parola –, e dall’altro una spiegazione assai illuminante frutto dell’integrazione del tropo in una teoria generale degli scarti.”
Cfr. Gruppo μ (1970, 52): “Tuttavia, localizzandolo fuori dal linguaggio, rendiamo conto delle interminabili discussioni a tal proposito e sosteniamo il concetto di grado zero come limite.” L’aver considerato il grado zero in relazione all’uso comune aveva infatti portato a circoscrivere indebitamente l’ambito della retorica, secondo una tendenza contestata da una celebre affermazione del Du Marsais, secondo il quale “si compiono più figure retoriche al mercato, che non nelle aule universitarie”. Tentare, invece, una definizione etimologica del senso proprio, conduce a considerare la retorica coestensiva ad una semantica diacronica.
Cfr. Gruppo μ (1977, 46)
Cfr. Klinkenberg (1973, d6); “Le point de référence ne peut être une unité linguistique précise, mais la classe de toutes les unités commutables avec l’unité du texte. La référence n’est donc pas unique (ce que présuppose l’emploi du mot norme) mais plurielle.”
Il punto è sottolineato da Ricoeur (1975, tr. it., 190): “La soluzione del problema dello scarto ad un livello infralinguistico, non sostituisce la la descrizione a livello della manifestazione del discorso; a questo livello, la retorica ha bisogno di reperire un grado zero pratico nel linguaggio stesso.”
Proprio e figurato rappresentano quindi due polarità estreme riconducibili al binomio linguaggio scientifico versus linguaggio poetico, definibili in quanto tendono rispettivamente alla massima omonimia e alla massima sinonimia (cfr. anche Klinkenberg, 1973). Limite del retorico sarebbe quindi un’indicalità denominativa quasi tautologica per cui “un gatto è un gatto” (cfr. Gruppo m, 1970, tr. it., 50).
Le quattro operazioni riconosciute derivano idealmente dallo schema della quadripartrita ratio di Quintiliano, che distingue adiectio, detractio, immutatio, e transformatio (cfr. Inst. Or. I, 5.38) e citato da Lausberg, 1960, p. 250.
È però necessario sottolineare che, se pure intervengono su un solo aspetto del linguaggio, le metabole implicano la coordinazione fra i diversi livelli: ogni figura, infatti, riguarda piano delle unità modificate (piano ‘formatore’), quello su cui si manifesta lo scarto (piano ‘portatore’), e quello, ancora superiore, che permette di riconoscere la figura (piano ‘rivelatore’). Nel caso della metafora, il piano formatore è costituito dai semi, quello portatore dalla parola e quello rivelatore dall’enunciato.
Ricoeur (1975; tr. it., 210) contesta l’adeguatezza del modello in quanto presume indebitamente l’omogeneità teorica dei diversi livelli su cui si operano le trasformazioni, riducendo la frase ad una collezione ordinata di sintagmi allo stesso titolo per cui la parola è una collezione (non ordinata) di morfemi, e questi lo sono di fonemi. Questa impostazione è secondo Ricoeur alla base dell’incapacità di cogliere il senso della metafora al livello superiore dell’enunciato e quindi della sua riduzione ad una sostituzione fra parole.
Cfr. Gruppo m (1979, tr. it., 48)
Nel Traitè di signe visuel (1992, 89) l’approccio greimasiano viene accusato di idealismo, in quanto, nella critica che ne fa il Gruppo μ, esso riduce la dialettica fra “un sens qui semble ne pas avoir de fondement physique et une stimulation physique, qui, comme telle, ne semble pas avoir de sens”, alla sola operazione di configurazione testuale messa in atto dal modello. Accanto ad un approccio olistico, erede lontano della tradizione crociana per cui ogni testo può essere studiato solo nella sua irriducibile specificità, è necessario costruire anche una ‘microsemiotica’ che, pur non disconoscendo l’importanza delle determinazioni contestuali nella specificazione del senso, permetta una analisi indipendente e fondante delle singole unità, la cui definizione, specialmente in ambito visivo, non può prescindere da determinazioni empiriche.
Cfr. Edeline, 1973, 74: “Au fur et à mésure que les analyses se raffinent, les entité ségrégées perdent leur caractère « chosal » ou concret […], et conversement les groupements se sèmes deviennent de plus en plus complexes et acquièrent un caractère du réel reconstitué.”
Nonostante la figura non consista nello scarto ma nella riduzione di esso, nella definizione delle sineddochi il Gruppo μ torna nella prospettiva opposta, osservando piuttosto il modo in cui le figure si manifestano: la sineddoche generalizzante, infatti, consiste nell’uso di un termine generale al posto di uno più particolare e non nella sua corretta reinterpretazione particolarizzante
Nel commentare la tassonomia proposta dal Gruppo μ, Eco (1984: 151) riconduce il diverso valore retorico delle sineddochi, piuttosto che alla focalizzazione semantica determinata nel rapporto fra il grado zero e quello figurato, ai meccanismi logici messi in atto nel momento dell’inferenza: le sineddochi implicitanti, nelle quali è necessario ricondurre un’iponimo al suo iperonimo sono logicamente ovvie e quindi retoricamente scontate. Per questa via i fenomeni retorici si differenzierebbero dai sensi indiretti derivabili per implicazione semantica per il maggior grado di indeterminatezza inferenziale.
Eco (1984, 160) contesta la validità del primo esempio di metafora ammessa (Sg + Sp) Σ, (da “betulla” a “fanciulla”, attraverso “flessibilità”), per il fatto che “flessibile” non rappresenta un tratto semantico dizionariale né di betulla, né di fanciulla, ma quella che, nel lessico del Gruppo μ, dovrebbe rappresentare una proprietà π. L’esempio mostra involontariamente come tutte le metafore accettabili dipendano da proprietà semantiche discriminate secondo il modello π, rafforzando la tesi secondo la quale le proprietà dizionariali non sarebbero appropriate a descrivere la metafora. Per questo, secondo Eco, la sineddoche, intesa in termini più ortodossi come figura che connette iponimi ad iperonimi, non sarebbe adeguata a definire la metafora.
Cfr. Weinrich, 1976
Cfr. Gruppo μ, 1970, 168.
Cfr. Eco (1984, 151): la sineddoche particolarizzante in Σ appare semanticamente arbitraria in quanto assume un quadro di riferimento, confondendo struttura del lessico e struttura del mondo.
Cfr. Ricoeur (1975)
Cfr. Ricoeur (1975, tr. it., 223): “Ci si può chiedere se l’analisi semica che, per definizione, si applica a termini già lessicalizzati è in grado di dar conto dell’incremento della polisemia mediante il discorso. […] Con la metafora di invenzione, il dubbio non è più possibile; il nuovo valore rappresenta, in rapporto al codice lessicale, uno scarto che l’analisi semica non è capace di contenere; anche il codice culturale dei luoghi comuni, secondo Max Black, non basta più; occorre, in effetti, pensare ad un sistema di referenze ad hoc che comincia ad esistere con l’enunciato metaforico stesso.”
In Semantica Strutturale Greimas riconduce forme normalmente giudicate retoriche al funzionamento metalinguistico del linguaggio, che correla, in sia pur parziali ed instabili equivalenze a carattere “sinonimico”, denominazione e definizione. Rientrano in questi termini il rapporto fra ‘testa’ e ‘testa di uno spillone’ o fra fatigué e brisé (equivalenza che nel lessico retorico sarebbero di ordine metaforico mentre, secondo Greimas, costituiscono una ‘denominazione figurativa’) o fra ‘testa di moro’ e ‘colore bruno’ (‘denominazione traslativa’). Fa parte, dunque, del programma di Semantica Strutturale la lessicalizzazione delle figure, intese come dispositivi di esplicitazione metalinguistica del senso. Cfr. Greimas, (1966, tr. it., 124): “L’analisi di questo inventario […] ha mostrato come una classe di occorrimenti relativamente estesa possa essere ridotta a un solo semema, che potrebbe chiamarsi semema costruito per distinguerlo dai sememi-occorrimenti”. Conseguenza di questa scelta metodologica è la costruzione di una nozione ampia di sinonimia, e quindi di significato, inteso come parziale condivisione di semi e sostituibilità entro classi contestuali, tale da annullare l’opposizione fra proprio e figurato. Cfr. Greimas (1966, tr. it., 125): “Mentre esaurisce, in linea teorica, tutti i classemi, il semema costruito ha bisogno di un numero minimo di semi […]. Si precisa così la direzione che necessariamente deve seguire l’analisi semantica in quanto tenda a valorizzare la organizzazione classematica dell’’universo significante a scapito di una perdita di sostanza semiologica.”
Cfr. Gruppo μ (1979, tr. it 143): “Nel caso dei lessemi comuni, come la parola testa analizzata da Greimas sulla base del Littré, il corpus dei sememi può rappresentare un campo stilistico molto ampio. Dal significato ritenuto primo … al senso detto figurato che si presenta in “la testa nuda”[…], vi è uno scarto che si amplia ancora con “la testa di uno spillo” […]. Se si considera che sul piano paradigmatico tutte le varianti sono equivalenti (una volta lessicalizzate), ogni uso di testa nel discorso rappresenterà un metasemema. Ma ovviamente questo modo di parlare non è più rigoroso, non più della formulazione di Jakobson secondo la quale ogni selezione paradigmatica è in una certa misura metaforica. bisogna quindi distinguere il punto di vista retorico da quello semantico.” L’unico criterio che permette di distinguere la figura dalle varianti dizionariali non riguarda la natura o l’ampiezza dello scarto ma la coesistenza di più valori semantici inconciliabili ma contemporaneamente attivi, fra i quali si produce la tensione retorica.
Cfr. Eco (1984, 143).
Cfr, Ricoeur, (1980, 25)
Cfr. Ricoeur (1975, tr. it, 225): “La metafora non è la polisemia; l’analisi semica produce direttamente una teoria della polisemia, e solo indirettamente una teoria della metafora, nella misura in cui la polisemia attesta la struttura aperta delle parole e la loro disponibilità ad acquisire nuove significazioni senza perdere le precedenti. Tale struttura aperta è solo la condizione della metafora, non ancora la ragione della sua produzione; occorre un evento di discorso perché appaiano, con il predicato non pertinente, dei valori fuori codice che la polisemia precedente non bastava, da sola, a contenere.”
Cfr. Ricoeur (1975, tr. it. 219): “Lo statuto di epiteto non pertinente, essenziale nel caso della metafora, non è affatto esigito dalla sineddoche, che sta esclusivamente nei limiti di una operazione di sostituzione applicata alla parola. Avendo messo in parentesi la condizione predicativa dell’impertinenza, la teoria può mettere in parentesi […], lo statuto propriamente predicativo della nuova pertinenza.”
Cfr. Ruwet, 1975.
Cfr. Ruwet, 1975: “Je voudrait seulement essayer de montrer que, à supposer que la construction d’une telle théorie se révèle possible, la taxinomie proposée par le Groupe de Liège n’y aurait aucun place. Le caractère systématique de cette taxinomie, son élégance et sa simplicité apparentes sont illusoires.”
Cfr. Ruwet, 1975, 374: I meccanismi del linguaggio figurato, infatti, “ne relèvent pas de la sémantique au sens strict , et on ne gagne rien, pour essayer de résoudre la question, à recouvrir du même terme passe-partout de ‘sème’ des phénomènes aussi hétérogènes que on vient de signaler.”
Cfr. Klinkenberg, 1983, 1984.
Cfr. Gruppo μ (1977, 64): “Il tipo di scomposizione indotta dal contesto determina negli enunciati la natura esatta delle relazioni tra il dato e il costruito. In tal caso si potrebbe dire che l’identificazione di una precisa categoria figurale è soesso un fatto preferenziale e non strutturale e che forse è il prodotto di un lavoro di proiezione del lettore.”
Cfr. Gruppo μ, 1970, 168
Cfr. Gruppo μ (1970, 168): “La frase di Giraud rimane comunque retorica almeno in questo punto: in essa si usa il verbo essere per unire due termini che non sono identici.” Nel Traité il Gruppo μ mostra al contrario come il rapporto fra figuralità ed analiticità possa anche essere invertito, considerando la metafora come la riduzione dello scarto costituito da un enunciato analitico, che viola i requisiti pragmatici che richiedono che sia introdotta nuova informazione.
Cfr. Gruppo m (1970, 169): “Nei fatti letterari, la letterarietà si segnala soltanto per il contesto (extra- o infra- linguistico) e per la precarietà delle articolazioni logiche che li pongono in essere. Ma questa debolezza è ovviamente rimediata da una valenza estetica che sostituisce la funzione noetica mancante”
Cfr. Gruppo μ (1977, 7)
Cfr. Gruppo μ (1977, 17): “Siamo così di fronte ad un’alternativa: o la poetica, nel significato jakobsoniano, accetta di spiegare tutta una serie di tipi di discorso che vanno dalla pubblicità alla liturgia, e allora la sua denominazione è equivoca; oppure essa provvede a darsi gli strumenti adeguati per spiegare la poesia nella usa specificità, ma in tal caso deve rinunciare ad essere una disciplina strettamente linguistica come avrebbe voluto Jakobson.”
La nozione di isotopia viene intesa in un’accezione più ampia rispetto quella, di derivazione greimasiana, adottata in Retorica Generale. Sulla scorta della proposta di Rastier (1971), l’isotopia viene estesa dal solo piano semantico anche a quello dell’espressione. Ogni effetto retorico viene quindi inteso come la violazione di una omogeneità sintagmatica, a qualsiasi livello questa si ponga. In continuità, quindi, con la classificazione delle metabole proposta nella Retorica Generale, vengono definiti quattro piani isotopi attraverso cui descrivere l’organizzazione retorica del testo: isoplasmie, isotassie, isosemie, isologie.
Isosemie e isologie tendono a coincidere, in quanto anche le isosemie dipendono dalla configurazione discorsiva. L’opposizione fra le due viene tuttavia mantenuta attraverso una ulteriore precisazione della nozione di isotopia, che viene subordinata ad una seconda condizione di ordine logico piuttosto che semantico: l’isotopia non dipende solo dalla ridondanza (‘giustapposizione’) di categorie semiche (criterio positivo), ma anche dell’assenza di opposizioni semiche in rapporto di determinazione, dalla ‘composizione’ logica del discorso (secondo criterio, negativo e derivato). Entrambe le condizioni sono necessarie, così che solo nel loro complesso definiscono l’isotopia semantica. L’ossimoro, ad esempio, si può definire come violazione dell’isotopia per composizione logica ma non per giustapposizione semantica.
Il Gruppo μ propone a questo scopo alcuni criteri empirici ma non decisivi, come la frequenza delle iterazioni di categorie semantiche, la loro manifestazione lessematica e la loro omogenea distribuzione nel testo.
Cfr. Gruppo μ (1977, 8): “Per noi la metafora compiuta è intrinsecamente polisemica e lo è effettivamente in certi contesti. Beninteso, noi diamo nuovamente questa definizione come modello teorico: infatti che compaia in un messaggio filosofico, poetico o dialettale, la metafora funzionerà spesso in maniera più o meno strumentale, talora come argomento, talora come ornamento e talora come «scarto». Ma la metafora pura – quella che interessa in prima istanza lo studioso di estetica – è la metafora indefinibile.”
L’idea che i fenomeni retorici si distinguano per la compresenza di valori semantici alternativi era già presente in Retorica Generale (cfr. nota NOTEREF _Ref1985452 \h 40) ma viene ripresa in Retorica della Poesia con ben altra attenzione, fino a farne il cardine teorico dell’intera opera, nella quale alla retorica viene assegnato il ruolo di mediatore fra opposizioni altrimenti irriducibili.
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it. 60).
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it. 63): “Sempre nel caso della metafora, è preferibile dire che il suo meccanismo estrapola, estendendola alla congiunzione dei due termini, una proprietà che appartiene solo alla loro intersezione. Ma tale estensione è duplice perché il transfert si applica nei due sensi. Così come non vi era gerarchia tra i diversi possibili punti di correzione della non-pertinenza, in teoria non vi è neppure una direzione imposta nel processo attivato dai costituenti del tropo, i quali hanno tra loro una relazione simmetrica.”
Mi sembra debba essere sottolineato come il reciproco rapportarsi di valori semantici compresenti di cui parla il Gruppo μ sia comunque differente dalla ricostruzione retorica del senso di cui parla Ricoeur, in quanto la relazione semantica si istituisce fra opzioni interpretative divergenti all’interno del paradigma e non accogliendo le predicazioni impertinenti lungo il sintagma. Rimane l’idea che ogni ‘rivalutazione’ “corregga” le eventuali allotopie producendo letture alternative ma internamente coerenti rispetto al sapere enciclopedico acquisito. Cfr. gruppo μ (1977, tr. it., 218): “Questa continua diversione della significazione sarà corretta dalla lettura tabulare che riunisce tutti i sensi dando loro i caratteri di totalità e equilibrio. Ma linearmente la poli-isotopia si percepisce meglio in termini di tensione che di conciliazione.”
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it. 61): “In questo caso di persistenza di polisemia virtuale o di produzione di una polisemia che sovverte il codice, si parlerà di polisemia retorica.”
Ad esempio, nel caso già citato di “Metti una tigre nel motore”, non solo “tigre” viene letto come carburante, ma il conducente viene assimilato ad un domatore.
Cfr. Gruppo μ (1977, 66): poiché la sineddoche lavora sull’asse che va dal generale al particolare, il suo valore connettivo si rivela piuttosto nell’ancorare le isotopie manifeste alla “categoria dell’universo semantico immanente di cui questa isotopia è l’ipostasi.”
Eco (1984) distingue metafore e metonimie in quanto le prime sostituiscono sememi alternativi, mentre le seconde sostituiscono un semema con un sema ad esso appartenente, e viceversa. La distinzione è però puramente teorica, dipendendo in pratica dall’estensione dell’enciclopedia utilizzata e dal grado di istituzionalizzazione del significato metaforico che, nei casi estremi può essere considerato parte del significato della forma letterale. “Ma in una buona rappresentazione enciclopedica si dovrebbe avere tra le proprietà (almeno connotate) del collo femminile anche quella di essere «come di cigno». Per cui la sostituzione sarebbe da sema a semema. Ovvero, la diventa, costruendola volta per volta. E le metafore servono esattamente a questo. Ovvero le metafore sono metonimie che si ignorano e che un giorno lo diventeranno.”
La somma dello scarto e della riduzione dello scarto, ovvero la traducibilità senza perdite di significato della forma figurata con quella letterale, infatti, equivale all’annullamento del portato semantico della figura, il cui valore viene quindi ricondotto al solo valore emotivo.
Cfr. Lévi-Strauss, 1958
Cfr. Durand, 1964
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it., 87)
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it., 113): “Come abbiamo presentato i poli della triade uniti dalla più ampia delle metafore, così li si può configurare anche come le più ampie sineddochi generalizzanti in rapporto alle isotopie del testo.”
La comparsa del Logos, dell’enunciatore poetico, segna un cambiamento estetico ed ideologico all’interno del paradigma del poetico: la poesia si mostra in quanto attività mediatrice, distanziandosi e svelando il carattere finzionale delle conciliazioni che opera. Cfr. Gruppo m (1977, tr. it., 220): “L’ultima parola dell’ideologia poetica è forse in questa contraddizione: la poesia, almeno nella sua versione moderna, è in rottura con il mondo e al tempo stesso è simulacro di un mondo singolarmente pieno e armonioso”
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it., 95)
Cfr. Gruppo μ (1977 tr. it., 83): “Il testo letterario, e la poesia per eccellenza, per il fatto che dispone in un certo ordine le significazioni veicolate dalle parole di sui si serve costituiscono un oggetto semiotico in cui alcune operazioni, nel senso di Piaget, vengono realizzate “senza rischio” e quasi a scopo esplorativo. Questa procedura è ovviamente la stessa di tutte le attività conoscitive …, ma quelle che sfociano in un sapere reale, si accompagnano simmetricamente a una “presa sulle cose” ad un adattamento al reale che la poesia elude deliberatamente in nome del “taglio epistemologico” che le è costitutivo.” Vedi anche Gruppo μ (1994, 21): “La restructuration scientifique est perçue comme assurant une meilleure prise sur les choses; elle est vécue sur le monde de réaliste. La restructuration rhétorique est vécue sur le monde fantasmatique. Elle joue du « comme si » , et ses catégories nouvelles sont proposées sans danger à titre exploratoire.”
Cfr. Guppo μ (1977, tr. it., 89): “Questo effetto totalizzante, riscontrato da un’appropriata lettura non può avere altra causa che l’inclusione dell’opposizione Anthropos / Logos nel testo.”
L’ethos tragico si colloca entro la medesima opposizione, manifestando però inconciliabilità, che pure produce piacere estetico, fra i termini che la compongono.
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it., 9): “Ad ogni modo, la mediazione poetica è puramente verbale e l’effetto globale di euforia che ne risulta appartiene all’ordine del gioco e non a quello della conoscenza.”
Cfr. Gruppo μ, 1984: in particolare, il sapere scientifico si distingue da quello poetico e retorico per il carattere socializzato, per la tendenza alla generalizzazione e per la necessità della verifica empirica
Cfr. Gruppo μ (1977, tr. it, 20): “Da un punto di vista operativo è forse meglio non distaccarsi troppo in fretta dalla nozione empirica: poesia sono (prima di tutto) i testi che si trovano nelle riviste di poesia.”
Cfr. Gruppo μ (1977, 87) “Non è possibile determinare dei criteri oggettivi che possano decidere in ogni caso dell’appartenenza di una certa serie semica alle categorie fondamentali.”
Cfr. Gruppo m (1977, tr. it., 210)

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http://www.sssub.unibo.it/pagine_principali/testi_materiali.htm
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